De Senectute. Sentieri attraverso la vita

Rispetto a facili suggestioni estetizzanti che siamo soliti applaudire senza renderci conto che dietro non vi è alcuno studio dell’immagine, solo un’aria tematica uguale camuffata da ufficialità, la personale fotografica di Maurizio Iazeolla propone l’antico rapporto tra l’essere e l’apparire, tra mostrare e svelare, tra la consapevolezza di voler/dover arrendersi al tempo ed essere alfine fiero.
Rivelare queste sfumature, rimpiazzare quel vuoto che la cultura contemporanea del “Forever Young” impone, avviene solo con un lavoro di spirito dell’autore, essendo l’opera d’arte rivelazione d’esso.
Ancora il mito della giovinezza, ma in questo caso spogliato dalla sua veste frivola, catturata dallo sguardo, dalle suggestioni che le 30 opere esposte trasmettono: da un sorriso, dall’aspirare una sigaretta, da un gesto di dialogo, da espressioni per nulla vaghe ma di sostegno che non escludono divagazioni sui dettagli.
Le tracce lasciate dal sole, dal vento e dal lavoro costringono la mente del visitatore a lasciarsi penetrare l’animo e commuoversi da quei volti familiari e da quelle rughe così vere da essere perfette.
Un progetto espositivo mirabile, una cura dettagliata, un allestimento accurato, senza sbavature, che permette di immergersi in ambiente spirituale dove le opere di Iazeolla sono cappelle votive laiche illuminate in un’ambiente buio.
Si comprendono così le parole del saggio critico di Massimo Rossi Ruben nel catalogo edito da AreaBlu edizioni: “Dio non riposa nei luoghi di culto, ma tra la gente. Il divino appartiene alla strada, ai campi da arare, al giogo dei buoi, al fieno degli erbai, alle rughe della pelle dei contadini”.
Illuminati da uno scatto e lentamente l’inconfondibile certezza che quegli sguardi sono rivelazione dell’autore, le sue domande come: “ Sei capace di godere la gioia di questo ritmo? Anche in questa incessante, rapida musica delle stagioni danzanti? Sei capace di stare nel presente?”
Si percepisce in questi ritratti un vago sentore di assenza a cui non si riesce a dare un nome (o non si vuole): l’intangibile passare del tempo, una mancanza sequenziale, una sfumatura di luce che i volti avevano posseduto ed ora è relegata negli occhi.
Al fin dei conti il presente è un ambiente buio con pochi angoli ben illuminati.

Luigi Mauta

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